Sto mangiando una merendina, la merendina è un bene privato, perché è un bene rivale ed escludibile. Un bene è rivale se può essere consumato da una sola persona (in questo caso io) ed è escludibile se si può limitare l’accesso del bene agli altri (e state sicuri che lo farò). Quando invece il consumo di un bene non è rivale né escludibile, si parla di bene pubblico. Pochi beni possono essere definiti beni pubblici puri, uno di questi, ad esempio, è la difesa nazionale: non si può difendere un Paese escludendo qualche cittadino e se si difende una persona contemporaneamente se ne difende anche un’altra.
La teoria economica ci dice che il mercato fallisce di fronte ai beni pubblici puri, nessuno è disposto a pagare spontaneamente (il giusto) per qualcosa che non può riservare a se stesso o di cui potrebbe beneficiare se qualcun altro pagasse al posto suo.
Un altro esempio tipico di bene che si configura come pubblico è il servizio di spegnimento degli incendi, tutti ne beneficiamo e non possiamo escludere nessuno dal godimento di questa utile funzione; in realtà in alcuni contesti, come quello americano, dove spesso le case sono monofamiliari e separate l’una dall’altra, le cose sono un po’ diverse e chi non paga i servizi di spegnimento dell’incendio vede andare in fumo i propri possedimenti.
La sanità, nonostante sia un bene molto prezioso, non è un bene pubblico (secondo la classificazione di cui sopra), in quanto possiamo escludere l’accesso ad alcune persone e se usufruiamo di un servizio sanitario, gli altri non possono usufruire dello stesso. A parte l’effetto gregge dei vaccini, il quale invece è un qualcosa di cui tutti possono godere e nessuno può essere escluso (a patto che si mantengano le percentuali di copertura vaccinale idonee).
Se perdiamo una delle caratteristiche dei beni pubblici siamo di fronte ad un bene tariffabile (se il suo consumo è escludibile ma non rivale, ad esempio un’autostrada), o comune (se è rivale ma non escludibile, ad esempio una riserva di caccia), in questo caso è possibile trovare dei sistemi per far pagare ai fruitori un prezzo su logiche di copertura dei costi di gestione o di incentivo/disincentivo all’utilizzo del bene.
Ma nel caso di un bene pubblico puro, il mercato non può fare il prezzo, è necessario che intervenga un’amministrazione centralizzata per determinare la quantità di bene da far produrre, per finanziarsi però lo Stato ha bisogno di un apparato fiscale. La classificazione non è esaustiva e univocamente determinata, ma di solito parliamo di:
– tassa: quando il gettito fiscale è destinato al finanziamento della produzione di beni pubblici o “quasi pubblici”, usufruiti dal cittadino (es. Tari, la tassa sui rifiuti);
– imposta: quando il tributo ha carattere di imposizione per il cittadino, essa viene calcolata su misure di reddito dirette o indirette (come possono essere i consumi, vedi l’IVA);
– contributo: è la compartecipazione che viene richiesta ai cittadini a parziale copertura di costi per l’erogazione di un servizio (es. i contributi previdenziali);
– accisa: tributo che colpisce una determinata categoria di prodotti in base alla quantità e non al valore (es. le accise sul carburante);
– tariffa: prezzo che viene richiesto ai cittadini per la fruizione di un servizio, può essere piena o agevolata (es. la tariffa doganale).
Molto interessante è il teorema di Barone, che dimostra che le imposte dirette hanno uno effetto distorsivo minore rispetto alle imposte indirette, mentre è possibile dimostrare che quelle che distorcono in modo minimo le scelte di consumo sono le “lump sum taxes”, le tasse in somma fissa, che non hanno alcun riferimento reddituale (di difficile, se non impossibile, applicazione nel mondo odierno). L’effetto distorsivo della imposte si manifesta sotto forma di minor quantità richiesta e prezzo (netto) che il consumatore è disposto a pagare, il risultato finale dipende dall’elasticità della domanda.
La principale imposta del sistema fiscale italiano è l’IRPEF (l’imposta sui redditi delle persone fisiche) ed è progressiva: abbiamo diverse aliquote marginali a seconda degli scaglioni di reddito e la progressività è accentuata da un sistema di deduzioni per lavoro e carichi famigliari. Le deduzioni sono riduzioni della base imponibile mentre le detrazioni sono riduzioni dell’imposta lorda:
Imposta netta = t*(base imponibile- deduzioni)-detrazioni
Dove t è l’aliquota media, in un sistema progressivo quest’ultima è inferiore o al massimo pari all’aliquota marginale (ovvero quella che si applica all’ultimo € di reddito).
Sulle tasse italiane potremmo parlare ore e ore.
Vi ricordo un post di qualche tempo fa di #moneyfornothing sull’IVA, la regina delle imposte indirette.