Quando penso a Chicago penso al bellissimo film del 2002 sul cabaret che vinse 6 Oscar. In realtà le eccellenze di questa città vanno ben oltre: da poco ho avuto la possibilità di stimare e apprezzare la scuola di Chicago come fucina di menti eccelse in moltissimi campi, infatti può vantare ben 85 premi Nobel tra cui 22 in economia (fonte: Treccani). E come potete immaginare è proprio questo indirizzo quello che mi interessa maggiormente analizzare.
La scuola economica di Chicago si distinse principalmente per alcuni principi di base di stampo liberista: il mercato è efficiente ed è in grado di allocare le risorse in modo ottimale, l’intervento dello Stato deve essere limitato alla definizione delle regole del gioco (formulazione dei diritti di proprietà e regolamentazione dei contratti). Il focus è posto soprattutto sul ruolo della moneta nei processi inflazionistici.
Nel periodo infrabellico molti esponenti della scuola di Chicago aderirono alla teoria quantitativa della moneta: una teoria di stampo macroeconomico che partendo dall’equazione (più che altro un’identità) degli scambi di Irving Fisher (MV = PY) mette in relazione la moneta con l’importo totale dei beni scambiati (M è la quantità di moneta offerta, V è la velocità con cui la moneta viene scambiata, P è il deflattore del PIL, ovvero il rapporto tra il PIL nominale e il PIL reale, che serve a depurare il calcolo del PIL dall’effetto della variazione dei prezzi, e Y è il valore reale dei beni scambiati). Sulla base di questa identità molti economisti postulano il legame tra l’aumento dell’offerta di moneta e il miglioramento dell’economia reale.
Nel periodo postbellico, Milton Friedman, esponente di spicco della scuola di Chicago e Premio Nobel nel 1976 fondò il monetarismo ovvero una particolare versione della teoria quantitativa della moneta, giungendo alla conclusione che ogni aumento di offerta della moneta si traducesse nel lungo periodo in un esclusivo aumento dei prezzi e non in un miglioramento dell’economia reale, criticando così l’identità di Fisher (quindi delta M equivale solo a delta P). Un aumento costante e controllato dell’offerta di moneta quindi sarebbe stato necessario e sufficiente per evitare le fluttuazioni macroeconomiche.
Friedman tenne alcune conferenze in Cile e fu accusato di collaborare con il regime di Pinochet, ma quello che è certo che alcuni studenti cileni di Friedman, i “Chicago Boys” furono assunti dall’amministrazione di Pinochet per formulare alcune riforme economiche (vi lascio qui due letture ex post, pro e contro queste riforme). Friedman in una intervista sottolineò il comportamento dei media che stigmatizzavano la collaborazione cilena e non l’intervento in Jugoslavia o in Cina, nazioni che erano poste parimenti a regimi dittatoriali.
La scuola di Chicago negli anni mutò e da uno spiccato liberismo virò verso un parziale riconoscimento della necessità dell’intervento dello Stato in alcune circostanze, soprattutto nel breve periodo in quanto sembravano esserci delle evidenze sul legame tra moneta e le altre variabili macroeconomiche come disoccupazione, reddito e investimenti.
Un risultato molto interessante raggiunto dagli studi dell’economista Ronald H. Coase, esponente della scuola di Chicago, è il teorema che gli valse il premio Nobel nel 1991 per “la scoperta e la spiegazione dell’importanza che i costi di transazione e i diritti di proprietà hanno nella struttura istituzionale e nel funzionamento dell’economia.” Il teorema di Coase postula l’efficienza con cui il mercato decide la quantità da produrre in presenza di esternalità positive e/o negative se vengono definiti e attribuiti i diritti di proprietà. Le esternalità positive sono benefici che i consumatori/produttori ricevono dall’attività economica di un altro soggetto senza pagare, ad esempio il mio vicino ristruttura e migliora la facciata della propria casa. Le esternalità negative, invece, sono danni che i consumatori/produttori subiscono senza essere risarciti, esempio l’inquinamento. Se nella curva dei costi di chi produce il bene che causa l’esternalità non si tiene conto di questo effetto positivo/negativo, il punto di equilibrio (quantità ottima) sarà più basso/alto e quindi si produrrà una quantità minore/maggiore bene di quanto effettivamente richiesto dal mercato. Per ovviare al problema, in assenza di costi di transazione, basta assegnare ad una delle controparti il diritto di produrre l’esternalità positiva/negativa per assistere al raggiungimento di un nuovo punto di ottimo Pareto-efficiente. Se invece sono presenti dei costi transattivi si può dimostrare che per raggiungere l’equilibrio è necessario attribuire il diritto all’esternalità alla parte che ha una maggiore utilità marginale. Vorrei sottolineare come questi risultati non siano per niente banali e dovrebbero essere tenuti in considerazione anche nei trattati sull’inquinamento e nelle scelte di economia pubblica.